L'ultimo saluto a Enzo Jannacci (Ansa)
«Non si può non voler bene a chi con la sua arte ha dato voce, assieme ad altri amici che sono oggi in questa Chiesa, a quelli che la voce non ce l’hanno, ai tanti anonimi sconfitti della storia». Questo è uno dei passaggi dell’omelia che don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana, ha tenuto durante i funerali di Enzo Jannacci nella gremita Basilica di Sant’Ambrogio il 2 aprile scorso.
Con gli amici più intimi, come Adriano Celentano, Claudia Mori, Teo Teocoli, migliaia di milanesi tra cui molti "personaggi" del popolo della strada come il barbone di Scarp de' tenis, di chi faceva il palo della banda dell’ortica, di Vincenzina dentro la fabbrica, del Ragazzo padre e del villano di Ho visto un re, al tossico di Se me lo dicevi prima. «Le tue canzoni», ha detto don Roberto, «le riascolteremo a lungo, non solo per ricordarti, ma piuttosto per diventare più umani, più autentici».
Enzo Jannacci è stato il cantore degli sconfitti della vita?
«Penso proprio di sì. Pur mantenendo altissima la qualità della sua competenza musicale e della sua capacità poetica, c’è un filo rosso che attraversa tutta la sua opera fin dai primissimi anni. Questo filo rosso è rappresentato proprio dall’attenzione nei confronti di questo variegato mondo degli sconfitti. Oltre ad essere il cantore degli ultimi, però, è stato anche lo sferzante castigamatti di ogni benpensante, perbenista, di chi era contento di star bene lui, rinchiuso sul suo ombelico. Questa denuncia contro l’individualismo mi pare sia la grande eredità che Enzo lascia a questa nostra società ancora alla ricerca di una fisionomia per il futuro».
Che ne pensa della canzone Scarp de’ tenis diventata il titolo di una rivista a lei cara? «È proprio dalla geniale ed amara poesia di Enzo Jannacci che abbiamo tratto il titolo di una rivista e di tanti progetti di solidarietà che ne sono scaturiti, a Milano, a Palermo, a Rimini, a Catania e Torino».
Non crede che Jannacci abbia ridato dignità agli sconfitti?
«Una dignità che passa attraverso il principio che nella sua canzone Scarp de’ tenis viene detta in negativo. "El pareva nisun, lasa stà che le roba de barbun", dicono quelli che lo scoprono morto sotto i cartoni. In negativo allora emerge, come in una fotografia, che ogni uomo è portatore di una dignità, ogni uomo è qualcuno. Noi cristiani abbiamo la fortuna di sapere perché! È un’intuizione che ogni uomo di buona volontà può raggiungere a partire dal fatto che ci riconosciamo appartenenti alla stessa razza umana. Il vantaggio di fondare questa intuizione sul fatto che ogni uomo è stato marchiato fin dalla sua origine dall’immagine di quel Dio che ci è Padre. Questo diventa per i cristiani una obbligatorietà e doverosità rispetto alla quale non possiamo scantonare o derogare».